PARTO A DOMICILIO

A cura di Daniela Ricci

 

Nel nostro paese nascono nuovi servizi per il parto a domicilio che consentono a mamme e papà di vivere la nascita del proprio figlio in modo più naturale. Alcune iniziative sono state presentate di recente a Modena, nel convegno promosso dall'Associazione Differenza Maternità, in occasione del quale le esperienze delle ostetriche professioniste che dagli anni ‘70/’80 hanno avviato le prime esperienze in questo ambito, si sono confrontate con i nuovi servizi di assistenza al parto a domicilio avviate dalle Aziende Sanitarie Locali. La figura dell’ostetrica, la qualità dell’assistenza e dell’accompagnamento alla donna nel “Percorso Nascita”, la sicurezza e i costi economici, sono stati i temi più dibattuti.

 

La percentuale di parti a domicilio in Italia è ancora molto bassa, si attesta, infatti, intorno allo 0,4%, nel resto d'Europa è mediamente del 2%, mentre nei paesi culturalmente più avanzati le percentuali salgono fino al 14%, per raggiungere il 32% in Olanda.

 

Ad oggi nel nostro paese mancano, sul tema, non solo statistiche e dati completi ma anche gli strumenti legislativi. Solo in questi giorni sta avanzando alla Camera una proposta di legge sulla tutela del parto che punta ad offrire alla donna e al/alla bambino/a la migliore delle assistenze e che sancisce il diritto della donna di scegliere tra il parto in ospedale, il parto a domicilio e in specifiche strutture territoriali, mettendo fine alla discriminazione tra parto cesareo e parto naturale, parificando, se verrà approvata, i rimborsi. Altre proposte di legge giacciono ferme da tempo in Parlamento.

 

Per colmare questo vuoto alcune Regioni si sono dotate di strumenti propri. Com’è avvenuto in Emilia Romagna, dove nel 1998 è stata approvata la Legge regionale sul Parto che riconosce alla donna il diritto di scegliere di partorire gratuitamente anche nella propria abitazione o nelle case di maternità, oltre che negli ospedali. Tra gli effetti prodotti dalla Legge: la sensibilizzazione culturale e la modifica del lavoro nelle strutture ospedaliere (umanizzazione degli ambienti, modalità del lavoro e formazione degli operatori). Nel 2004 le tre strutture sanitarie attrezzate per il servizio di Modena, Bologna e Reggio Emilia hanno assistito 76 parti a domicilio.

 

A Modena il servizio di assistenza al parto a domicilio è stato avviato dall’Azienda USL lo scorso anno. L'obiettivo è garantire un parto sicuro anche tra le pareti di casa, vicino ai propri cari. Tra le richieste vengono selezionati i casi di gravidanze "a basso rischio", così definite sulla base di criteri universalmente condivisi del Protocollo di Kloostermann, secondo metodologie che rendono sicuro il parto a domicilio. Ad oggi sono state prese in carico 9 mamme. Sulle 13 richieste presentate, 5 sono state escluse prima dell’inizio della 38^ settimana e una durante il travaglio. Per farne richiesta le donne interessate devono compilare l'apposito modulo presso uno dei 7 punti Saub presenti sul territorio.

 

«In prospettiva - ha anticipato Paolo Accorsi, responsabile dell'applicazione della Legge Regionale sul Parto Azienda USL di Modena - il lavoro dei prossimi mesi sarà incentrato sull’adattamento dei protocolli alla realtà modenese e alle nuove evidenze scientifiche. A breve è prevista l’organizzazione di un percorso di formazione rivolto alle ostetriche».

 

A Reggio Emilia il servizio, promosso da Azienda USL e Azienda Ospedaliera, è stato attivato nel ‘99. «Il primo parto a domicilio - ha spiegato Marilena Pedroni, Ostetrica Responsabile Parto a Domicilio, Reggio Emilia – è avvenuto nel dicembre 1999. Da allora abbiamo seguito una media di 5/6 parti l’anno. Il servizio prevede attualmente la disponibilità di 9 ostetriche che, a turno, alternano l’attività ospedaliera con quella a domicilio».

 

Torino è stato il primo centro in Italia ad istituire un servizio pubblico di assistenza al parto a domicilio. Il servizio, avviato nel ’97 sulla base di una delibera dell’Azienda Ospedaliera di Torino, è gestito in autonomia dalle ostetriche dipendenti ospedaliere. «Dal 1 luglio 97 al 31 dicembre 2004 abbiamo seguito 294 gravidanze - ha commentato Ornella Nurisso, Ostetrica Responsabile Parto a Domicilio, Torino - di queste 196 sono risultate idonee al parto a domicilio. I travagli iniziati a domicilio sono stati 155, mentre i parti spontanei portati a termine a domicilio sono stati 130; 25 gestanti sono state trasferite nella struttura ospedaliera prima del parto per l’insorgenza di problematiche. La selezione è molto accurata e prevede la presa in carico dei soli casi esenti da patologia. Ad oggi il servizio prevede la disponibilità di 2 ostetriche. Consigliamo alle madri interessate, di iniziare il percorso quanto prima, possibilmente già dal primo trimestre, per favorire la creazione di una buona relazione terapeutica e di fiducia tra madre e ostetrica, uno degli aspetti basilari del servizio ».

 

«L’introduzione del servizio nelle aziende sanitarie – ha sottolineato Laura Piretti, presidente dell’Associazione Differenza Maternità di Modena - contribuisce alla diffusione di una cultura della nascita e delle conseguenti pratiche ostetriche, in grado di soddisfare i bisogni di benessere psico-fisico della donna e del neonato. E rende la donna libera di scegliere il luogo dove partorire e il modo con il quale si vuole vivere l’esperienza prima e durante il parto, superando gradualmente l’ospedalizzazione generalizzata e i disagi creati dalla centralizzazione dei parti nei grandi centri ospedalieri. La facoltà di scelta concessa alle donne dalla legge, tuttavia, può essere esercitata solo se esiste la possibilità di essere informate. Rendere accessibile un servizio significa, soprattutto, far sapere che esiste, come e dove lo stesso si svolge».

 

Dagli interventi emerge un forte divario tra il numero delle donne accolte nei progetti istituzionali e nei percorsi privati. In quest’ulltimo caso il numero delle donne prese in carico è dell’80%, nel primo caso si ferma al 47%. A Bologna, per esempio, le ostetriche dell'Associazione Il Nido su 194 richieste ricevute tra il 2000 e il 2004, ne hanno accolte 188 e ben 164 donne hanno partorito a domicilio, come ha illustrato Monica Padovani, Ostetrica, libera professionista fondatrice dell'Associazione.

 

Una possibile causa potrebbe essere ricercata nei tempi dedicati all’accoglienza della donna e alla creazione di una relazione terapeutica di fiducia e di empatia tra l’ostetrica e la donna. Se essi non sono adeguati, se ciò avviene in avanzata gravidanza, gli strumenti per valutare, prevenire e far rientrare il rischio, accompagnando la donna a riconoscere ed attivare tutte le risorse che le consentono di guarire da sola nella fisiologia, vengono a mancare, risultano insufficienti.

 

L’emergere delle esigenze legate alla riscoperta di valori quali la naturalità del parto e il protagonismo della donna nel percorso della maternità, si contrappone ai dati delle recenti indagini che definiscono la nascita in Italia come un evento sempre più medicalizzato, caratterizzato da un eccessivo ricorso alle indagini diagnostiche, applicate senza particolari differenze alle donne con gravidanze a rischio e a tutte le altre, e da un’altissima percentuale di ricorsi al parto cesareo, con una media nazionale di circa il 35%, contro il 15-20% raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

 

«Il parto non è altro che un processo di apertura interiore del corpo e contemporaneamente emozionale» ha chiarito durante il convegno Verena Schmid, Ostetrica e Direttrice della Scuola Elementale di Arte Ostetrica di Firenze: «Per potersi aprire e lasciare andare, bisogna sentirsi al sicuro. Oggi il senso di sicurezza è spesso proiettato all’esterno: la sicurezza è il farmaco, è l’esperto che mi dice ciò che devo fare, è la struttura, è la tecnologia. Molte donne hanno interiorizzato questi aspetti, legandoli al senso di sicurezza, e ne sentono il bisogno. Altre persone cercano, invece, un senso di sicurezza nelle loro risorse, si fidano di sè stesse e si sentono più sicure in un ambiente in cui possono stare con sé stesse o circondate da persone di cui si fidano. La vera questione sta proprio nel “senso di sicurezza” che una donna ha, che può essere spontaneo o acquisito attraverso l’educazione, il sapere, l’informazione».

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